Templaria Festival

Il tema 2022

Il XIV secolo. Un periodo davvero complesso

Il 18 marzo del 1314 nei pressi di Notre Dame a Parigi, moriva sul rogo Jaques de Molay. Non si erano ancora spente le fiamme che avevano arso vivo l’ultimo gran maestro templare, che il secolo XIV presentava all’uomo medioevale le vampe di una crisi senza precedenti.

Dopo secoli di sviluppo tecnico e sociale, con una forte crescita demografica associata ad una prosperità di beni, il Trecento rappresentò un secolo di rottura per quasi tutto il continente europeo. Si susseguirono, ed alcune volte si alternarono, una difficoltà dietro l’altra.

Il clima si raffreddò in modo deciso, tanto che gli abitanti di Londra e di Parigi si abituarono a vedere il Tamigi e la Senna ghiacciati: la “piccola era glaciale medievale”. Una grave carestia, causata dalla sequela di eventi climatici sfavorevoli, affamò la popolazione di molti territori e decimò il bestiame, con una forte conseguente malnutrizione della popolazione.

La “guerra dei cent’anni” vide scontrarsi i Regni di Inghilterra e Francia dal 1337 al 1453, con effetti su tutto il territorio europeo circostante.

Infine, nel 1347, arrivò l’ombra scura della peste nera: una delle peggiori pandemie che la storia ricordi, originaria dell’Asia e giunta in Europa attraverso le rotte commerciali marittime, in particolare le navi genovesi che facevano la spola tra Mar Nero e Mar Mediterraneo. La pandemia si diffuse rapidamente e colpì in modo durissimo la nostra penisola e il continente.

E’ a questo periodo storico, che racchiude così tanti, quasi incredibili parallelismi con il nostro tempo, che si fa riferimento quando si parla dei “secoli bui” del Medioevo.

Eppure, a poca distanza da un momento così disperato da prefigurare quasi una disfatta dell’umanità, si sarebbe aperta una delle fasi più creative e indimenticabili della storia mondiale: il Rinascimento.

 

La Rinascita e la leggenda dei secoli bui.

E’ l’Umanesimo, di lì a poco, a schiudere un’epoca di raffinati artisti, grandi famiglie di mecenati, commissioni di sculture, arazzi, chiese e palazzi a cui ancora oggi guardiamo come capolavori assoluti. Il Rinascimento si aprirà a nuovi orizzonti geografici e mentali, l’Età Moderna segnerà meravigliose scoperte scientifiche: guardandosi indietro, i cittadini di allora noteranno solo le difficoltà di quei “secoli bui” antecedenti, senza chiedersi se non siano stati parte integrante per la nuova spinta creativa e sociale.

L’appendice più complessa e dolorosa, il Trecento, viene associato a tutto il Medioevo.

Alcuni anni fa, presentando questo tema, avremmo scritto: “Per fortuna quel periodo di cambiamenti climatici, carenza di materie prime, guerre e pandemia, appartiene ad un tempo ormai lontano che difficilmente potrà tornare”.

Oggi quei tempi non sembrano più così lontani, ma proprio per questo vogliamo riflettere su quanto è accaduto e farne il motore della nostra Rinascita.

 

Lo gran morbo: un’opportunità narrativa

“Lo gran morbo”, come viene chiamato ne “L’armata Brancaleone”, l’irriverente film di Mario Monicelli, è il più stuzzicante tra i pretesti che il ritorno di Templaria Festival poteva trovare dopo due anni di dolorosissima assenza, per parlare di qualcosa che ci ha colpito duramente ma al contempo, per tornare a sorridere, stare insieme, godere del bello che la nostra comunità riunita può offrire. 

Dopo la terribile ondata del 1348, altre due gravi pandemie di peste e alcune minori derive si sono susseguite in Europa, divenendo un fenomeno endemico e ricorrente, con cui la società si trovò a “fare i conti”.

“Il contagio della peste” è uno dei canoni più usati nell’arte. Ne scrive Boccaccio nel suo “Decamerone” e Alessandro Manzoni ne “I promessi sposi”, due testi che attorno alla malattia costruiscono una narrazione complessa e multilivello; la pittura ha illustrato il dolore delle pestilenze attraverso gli artisti, i generi ed i temi più disparati, come il “Dies irae” dei fiamminghi, la “Danza della morte” della pittura nordica e le oltre 50 tele di Tintoretto dedicate a San Rocco, protettore dal flagello; al cinema, Ingmar Bergman mette la Morte al centro del suo capolavoro “Il settimo sigillo”.

Molti tra poeti, attori e saltimbanchi, nel corso dei secoli e col succedersi delle ondate pandemiche, cominciarono ad affrontare la malattia con un atteggiamento che giunse anche alla goliardia e alla sfrontatezza. Un vero e proprio genere drammaturgico, per reagire alle paure e ai cambiamenti attraverso la risata, lo sberleffo, il lazzo – quello che infatti ritroviamo nella brillante interpretazione di Vittorio Gassman nel film di Monicelli.

Il tema del festival: affrontare la paura per costruire un nuovo Umanesimo

Attraverso una serie di incontri e convegni analizzeremo quel Trecento che così negativamente è stato giudicato: dal processo ai Cavalieri del Tempio, al rogo del Gran Maestro, per poi prose con le carestie, i cambiamenti climatici, la guerra, fino all’arrivo della peste nera.

Affronteremo le paure, l’alienazione causata dai cambiamenti tanto repentini e inattesi, le difficoltà da superare, perché il ritorno di Templaria sia l’occasione per rimettere al centro l’Umanità, fare dell’esperienza passata un tesoro per ritrovare la gioia dell’accoglienza, della condivisione, dello stare insieme, della fratellanza che da sempre contraddistingue il nostro fare.

Il grottesco ci accompagnerà e sarà cifra stilistica della nostra rievocazione, chiave di lettura ironica ma consapevole.

Vi aspettiamo per condividere questa nuova Umanità.

Vi aspettiamo nelle Notti da Medioevo.

Prof. Andrea Fioravanti – docente di Estetica, Storia e Filosofia e Storico del Cinema

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